Se ne discute, anche parecchio, con toni più o meno accesi, come in questo articolo. Sembra che i diretti interessati – a giudicare dai commenti – non l’abbiano presa tanto bene. Un dato certo è che la fuga di cervelli – uno dei maggiori problemi di questa disastrata Italia – porta con sé anche la fuga degli stomaci.
“Mangiano da schifo. Pesce affumicato, wurstel, orsetti gommosi, patate fritte. I più fortunati trovano un asporto cinese o un kebabbaro. Cercano disperatamente una pizza decente, alcuni giurano anche di averla trovata. Ma stanno mentendo”
Sorrido: dall’alto dei miei due anni all’estero, posso dire di averne mangiati n-mila di kebab e shawerma, ma giusto perché ero a Dubai. Ed è vero: la pizza buona all’estero non esiste; almeno non esisteva nella Londra di inizio millennio. Nel frattempo è passato qualche annetto, per cui ho deciso di documentarmi alla fonte e sentire i miei amici che vivono sotto un diverso fuso orario.
Massimo, 43 anni, Art Director, ha lasciato l’Italia 18 anni fa e dal 2001 è stabile a Parigi. Benché non avesse velleità gastronomiche, ammette che ora la parmigiana di melanzane gli manca tanto e dopo averne scovata una buona in un ristorante parigino “che ha poi cambiato ricetta per adeguarsi alle lamentele dei clienti francesi” si è rassegnato a prepararla a casa, assieme alle lasagne con tanto di sfoglia tirata a mano “ma con lo chèvre”. Inoltre stupisce gli amici francesi con frittate di spaghetti, perché “i Francesi restano strabiliati dalla bontà del piatto ogni volta che la mangiano e mi chiedono la ricetta”. Spesa di prodotti italiani al Capri bazar, un’épicerie in Rue du Faubourg Saint Denis “gestita da un napoletano molto in gamba che spesso mi fa trovare un’ottima treccia di mozzarella e soprattutto dei friarielli sott’olio strepitosi”. Da buon vegetariano, della cucina francese Massimo apprezza molto i formaggi; per una serata italiana si dirige al ristorante Ciacco, a rue René Boulanger “che, oltre a fare un’ottima pizza, fa anche dei buoni primi” oppure a La madonnina, a Rue Marie et Louise, mentre per le serate francesi predilige l’atmosfera dei bistrot: La pendule occitaine, a Rue Bouchardon per pranzo, oppure Chez Marie et Louise, di fronte a La Madonnina.
Luca, 42 anni, Transport Planner, vive a San Francisco da 3 anni, dopo aver trascorso più di 10 anni a Londra e 4 a New Delhi. Raramente ha trovato in giro l’amore per la tavola che abbiamo noi italiani; “funghi porcini (disidratati, purtroppo) e zafferano non devono mai mancare nella mia cambusa italiana; sono difficili da trovare e costano parecchio”. In US si trova praticamente di tutto, a volte è solo questione di prezzo, ma Ferrari importa vari prodotti italiani, Costco la mozzarella e la pasta Garofalo “non tutti i formati ma ci si adatta”. Anche catene come Wholefood importano prodotti italiani, dalla passata ai biscotti, al formaggio. A casa si preparano soprattutto risotti, parmigiana di melanzane e sformati di verdura, mentre per una cena italiana al ristorante si va da Milano “che prepara uno zabaione struggente”, da Trattoria L upa per l’ottimo ragù oppure da Locanda, “che propone cucina romana ben fatta, inclusi i carciofi alla giudea”. La cucina locale è fusion, un bel melting-pot delle culture che si affacciano sul Pacifico e di livello qualitativo medio-alto; c’è molta offerta di menù con prodotti biologici. Una steak house tipica è Tadich Grill, mentre Park Tavern su Washington square propone cucina Californian fusion.
Davide, Finance director di 41 anni, ha lasciato l’Italia da relativamente poco, solo 2 anni, per Dubai. “Con due bimbi piccoli si fa fatica a trovare omogeneizzati senza curry, ma la salsa di pomodoro, quella buona davvero, è introvabile. E poi i formaggi stagionati e il guanciale, introvabile nei paesi musulmani”. Fortunatamente, da Carrefour, Geant eEataly si trova quasi tutto – maiale escluso – magari a prezzi elevati. Le cene italiane a casa sono a base di pasta (carbonara e al sugo in primis), poi spezzatino, pizze, minestroni e pollo special, “ma devi chiedere a mia moglie, è lei che cucina”. Per una serata italiana al ristorante si va in un hotel “perché qui è normale che i ristoranti esteri siano quasi esclusivamente negli hotel” come il Certo del Radisson Blue hotel o La bussola del Westin Dubai. Dubai è un emirato popolato al 90% da expat: Europei, Americani, Indiani, Pakistani. La cucina araba che preferisco, per qualità e varietà, è principalmente libanese, ma si trovano anche buoni ristoranti iraniani. Un buon libanese è Al Kahima preso Le meridien, mentre Al Nafoorah nell’Emirates Tower è un po’ trendy, ma molto buono.
E voi iscritti a all’AIRE nei 5 continenti, come ve la cavate? Cosa vi manca delle tavole nostrane?